Lettre de Jacques Lacan « aux Italiens ». (français, italien)

mardi 9 juin 2009
par  P. Valas

 

DIRETTIVE

 

 
JLACAN
 
UNA INIZIATIVA DI J. LACAN, Milano, 1 aprile 1974, L’original en français se trouve à la fin.

Spinto da motivi che non saranno qui descritti né analizzati, J. Lacan propone con forza a coloro che con¬sidéra suoi diretti allievi in Italia — G. Contri (Milano), M. Drazien (Roma), A. Verdiglione (Milano) — di costituire, di contre alla frammentazione dei « gruppi », un luogo unitario, in forma di associazione legalmente costituita, di cui egli stesso suggerisce il nome di « La cosa freudiana » (si ricorderà che questo è anche il titolo di un célèbre scritto di Lacan).
Risulta ora facile cogliere il senso délia rapida successione délie iniziative di J. Lacan in Italia pre-e post questa data.
Tra difficoltà e contrasti d’un lato, e le spinte di Lacan dall’altro, uno Statuto giungerà a essere elaborato, formalmente datato 4 dicembre ’74, firmatari i suddetti cui s’è aggiunto nel frattempo G. Musotto (Palermo). Lo Statuto è controfirmato dallo stesso J. Lacan.
La nuova associazione non riuscirà ad avère un regolare funzionamento : oltre ad alcune riunioni del comitato ristretto costituito dalle suddette persone, riunioni che cesseranno con l’estate ’75, sotto la sua denominazione due sole iniziative più ampie hanno potuto essere organizzate : quella di cui si dira qui a p. 167, l’I giugno ’74 a Milano, con la presenza di J. Lacan ; ed una l’anno successive, il 29 giugno ’75, a Roma, riunione di una ventina di persone dei divers ! gruppi, dedicata all’esame e alla discussione de « La passe », cui lo Statuto stesso faceva esplicito riferimento. In partico-lare, sono invitati a partecipare a questa riunione coloro che nel "frattempo avevano dato vita a un nuovo raggruppamento richiamantesi a Lacan, prima a titolo délia rivista « II piccolo Hans », e successivamente corne « La pratica freudiana », nelle persone di S. Finzi e V. Finzi-Ghisi (Milano).

Da Parigi, fine aprile 1974

DIRETTIVE/DIRECTIVES

II testo che segue è stato scritto da J. Lacan stesso nel mese di aprile, e indirizzato ai tre (« tripode », vedasi p. 154) che sono i primi destinatari délia sua proposta che un’associazione si costituisca con la denominazione « La cosa freudiana » (vedasi qui p. 151).

G. Contri tiene a precisare che taie testo (corne pure il brève discorso pronunciato da J. Lacan in apertura délia riunione successiva, qui p. 167) fa seguito alla sua insistenza affînché J. Lacan assuma anche in modo esplicito quella che altrove sarebbe chiamata la « paterni¬té » delFiniziativa : non solo, ma che sia egli stesso a pronunciarne le linee direttive (donde l’intitolazione, redazionale, del testo riprodotto nelle pagine che seguo-no).
Alla fine di aprile queste pagine, dattiloscritte, sono inviate da J. Lacan al suddetto affinché le rimetta agli altri. Esse non sono firmate, ma nessuno ne contestera l’autenticità né la datazione.

Lacan in Italia. La Salamandra 1978. Milano

DIRETTIVE

Tal quale si présenta, il gruppo italiano ha dalla sua di essere tripode [1]. Il che puô bastare a poter sedercisi sopra.
Quanto al dar sede al discorso psicoanalitico, è tempo di metterlo alla prova : l’uso décidera del suo equilibrio.
Che pensi « con i (suoi) piedi », è ciô che è alla portata dell’essere parlante da quando vagisce.
Pure, sarà bene dare per stabilito, al punto présente, che il voto pro o contro décide délia preponderanza del pensiero se i piedi segnano tempo di discordia [2].
Suggerisco loro di partire da ciô in cui e per cui ho dovuto rifondere un altro gruppo, cioè 1’’Ecole Freudienne de Paris.
L’analista detto dell’Ecole, A. E., si recluta ormai col sottomettersi alla prova detta délia « passe » [3], cui nondimeno nulla lo obbliga, perché al tempo stesso VEcole ne delega alcuni che non le si offrono, in qualité di analista membro dell’Ecole, A.M.E.
Il gruppo italiano, se mi vuole ascoltare e mi vuole intendere, si atterra a nominare coloro che vi postuleranno il proprio ingresso in base al principio délia passe, assumendosi il rischio che non ce ne sia(no).
Il principio è il seguente, l’ho già detto in questi termini.
L’analista non si autorizza che da e di se stesso, ciô va da se. Poco gli cale una garanzia che la mia Scuola gli dà senza dubbio sotto la cifra ironica di A.M.E. Non è con questo che opéra. Il gruppo italiano non è in condizione di fornire questa garanzia.
Ciô cui deve vigilare è che, ad autorizzarsi da se, ci sia soltanto dell’analista.
Giacché la mia tesi, inaugurante in quanto rompe con la pratica per cui pretese Società fanno dell’analisi un’aggregazione, non implica perô che chiunque, cioè non importa chi, sia analista.
Infatti, in ciô che essa enuncia è dell’analista che si tratta. Essa suppone che ce ne sia(no).
Autorizzarsi non è auto-ri(tuali)zzarsi.
Perché ho posto d’altronde che è dal pas-tout, non-tutto e non-ogni, che l’analista sorge.
Non-ogni essere di parola si saprebbe autorizzare a fare un analista. Lo prova il fatto che se un’analisi gli è necessaria, non per questo è sufficiente.
Solo l’analista, cioè non chiunque, non s’autorizza che da se.
Ce n’è, è fatta : ma è perché sono in funzione. Funzione che rende solo probabile l’ex-sistenza dell’analista. Probabilité sufficiente a garantira che ce ne sia(no) : il fatto che le probabilité siano grandi per ciascuno, le lascia insufficienti per tutti.
Tuttavia se convenisse che fossero in funzione solo degli analisti, assumere ciô corne scopo sarebbe degno del tripode italiano.
Questa strada vorrei ora aprire, se la vuole seguire.
Occorre per questo (donde risulta perché io abbia aspettato ad aprirla), occorre del reale tener conto. Cioè di ciô che proviene dalla nostra esperienza del sapere.
C’è del sapere nel reale. Benché ad ospitare quello sia lo scientifico e non l’analista.
L’analista ospita un altro sapere, a un altro posto, ma che del sapere nel reale deve tener conto. Lo scientifico produce il sapere, figurando, per fin ta causa, di farsene il soggetto. Condizione necessaria ma non sufficiente. Se non seduce il padrone velandd il fatto che li è la sua ravina, questo sapere rimarrà sepolto corne già lo è stato per venti secoli in cui lo scientifico si è creduto soggetto, ma solo di dissertazione più o meno éloquente.
Torno su questo punto fin troppo noto, solo per ricordare che l’analisi dipende da ciô, ma che tuttavia ciô non ne costituisce condizione sufficiente.
Bisognava che vi si aggiungesse il clamore di una pretesa umanità, per la quale il sapere non è fatto perché essa non lo desidera.
Non c’è analista se non in quanto, questo desiderio, gliene venga, cioè in quanto già per ciô stesso egli sia lo scarto délia suddetta (umanità).
Già l’ho detto : è questa la condizione di cui, in qualche lato délie sue awenture, l’analista deve portare il segno. Sta ai suoi congeneri di « sapere » trovarla. Salta agli occhi che ciô suppo-ne un altro sapere precedentemente elaborato, di cui il sapere scientifico ha fornito il modello e porta la responsabilità : quella stessa che gli attribuisco, di aver trasmesso ai soli scarti délia dotta ignoranza un desiderio inedito. _ Che si traita di verificare : per tare dell’analista. Comun-que sia quanto a ciô che la scienza deve alla struttura isterica, il romanzo di Freud, è i suoi amori con la verità.
Cioè il modello di cui l’analista, se ve n’è uno, rappresenta la caduta, lo scarto corne ho detto, ma non uno qualsiasi.
Credere che la scienza è vera col pretesto che è trasmissibile (matematicamente) è un’idea pro-priamente délirante che ciascuno dei suoi passi réfuta rimandando ai bei tempi andati una prima formulazione.
Non c’è per questo alcun progresso registrabile salvo sapere il seguito. C’è solo la scoperta di un sapere nel reale. Alla buon’ora ! un ordine che non ha nulla a che fare con quello immaginato prima délia scienza, ma che nessuna ragione assicura che sia una buon’ora.
Se il grano d’analista è vagliato dalla pula di scarto che ho detto, è per il fatto di cominciare ad accorgersi che Fumanità trova di che definirsi in rapporte alla buon’ora, alla félicita (ci sta a mollo : per essa non c’è che buon’ora) ed è proprio qui che egli deve aver isolato la causa del suo orrore del proprio, e staccato da quello di tutti, orrore di sapere.
Allora sî, sa essere uno scarto. E’ ciô che l’analisi ha dovuto almeno fargli sentire. Se non ne è portato aU’entusiasmo, magari ci sarà anche stata analisi, ma niente analista. Com’è spesso illustrato dalla mia « passe » di fresca data : quanto basta perché i passeurs risultino di-sonorati dal lasciar la cosa incerta, senza di che il caso ricade in una candidatura pulitamente declinata.
Il che avrà un’altra portata, saprà di un’altra portata, nel gruppo italiano, se mi segue in questa faccenda. All’Ecole di Parigi infatti, nonostante quanto sopra, non c’è cassazione. Dato che l’analista s’autorizza da se, la sua difettosità passa ai passeurs e la seduta continua per la générale buon’ora, tinta perô di depres-sione.
Ciô che il gruppo italiano guadagnerebbe seguendomi, è un po’ più di serietà di ciô cui giungo io con la mia prudenza. A questo fine bisogna che esso assuma un rischio.
Articolerô ora le cose per gente che m’inten-de.
C’è l’oggetto (a). Ora esso ex-siste, nella misura in cui io l’ho costruito. Suppongo che se ne conoscano le quattro sostanze episodiche, che si sappia a che serve, awolto com’è da quella pulsione per cui ciascuno si mira al cuore e non vi arriva che con un tiro che Io manca. Ciô fa da supporte allé realizzazioni più effettive, — ed anche allé realtà più awincenti.
Se è questo il frutto del Panalisi, rimandate il sullodato soggetto ai suoi cari studi. Egli ornera di vasi supplementari il patrimonio ritenuto costituire il buon umore di Dio. Che si ami crederci o che ripugni, ciô ha lo stesso valore per l’albero genealogico donde trae sussistenza l’in-conscio.
Il lui o la lei in questione gli danno acconciameute il cambio.
Non si autorizzi da analista, poiché non avrà mai il tempo di contribuire al sapere, senza di che non c’è possibilité che l’analisi continui a far premio sul mercato, cioé : che il gruppo italiano non sia votato aU’estinzione.
Del sapere in gioco ho emesso il principio come da quel punto idéale che tutto permette di supporre allorché si ha il senso del disegno su grande scala : non c’è rapporte sessuale, intendo rapporte che possa essere messo in scrittura.
Se è cosi, mutile provarci, mi si dira, non voi per carità, ma se sono i vostri candidati, è uno in più da bocciare, non avendo possibilité alcuna di contribuire a quel sapere senza di cui vi estin-guerete.
Infatti, senza mettere alla prova questo rapporto con lo scriverlo, non c’è modo di arrivare a ciô che ho, nel momento stesso in cui ne ponevo l’inex-sistenza, proposto come uno scopo grazie a cui la psicoanalisi si eguaglierebbe alla scienza : cioè dimostrare che questo rapporto è impossibile a scriversi, cioè che è in questo che non è affermabile ma anche non refutabile : a titolo di verità.
Con la conseguenza che non c’è verità che possa dirsi tutta, neppure questa, poiché questa non la si dice né poco né tanto. La verità non serve a niente se non a costituire il posto donde questo sapere si denuncia.
Non che questo sapere sia niente. Giacché si tratta del fatto che accedendo al reale loCiô fa da supporte allé realizzazioni più effettive — ed anche allé realtà più awincenti.
Se è questo il frutto dell’analisi, rimandate il sullodato soggetto ai suoi cari studi. Egli ornera di vasi supplementari il patrimonio ritenuto costituire il buon umore di Dio. Che si ami crederci o che ripugni, ciô ha lo stesso valore per l’albero genealogico donde trae sussistenza l’in-conscio.
Il lui o la lei in questione gli danno acconciamente il cambio.
Non si autorizzi da analista, poiché non avrà mai il tempo di contribuire al sapere, senza di che non c’è possibilità che l’analisi continui a far premio sul mercato, cioè : che il gruppo italiano non sia votato all’estinzione.
Del sapere in gioco ho emesso il principio come da quel punto idéale che tutto permette di supporre allorché si ha il senso del disegno su grande scala : non c’è rapporto sessuale, intendo rapporte che possa essere messo in scrittura.
Se è cosi, inutile provarci, mi si dira, non voi per carità, ma se sono i vostri candidati, è uno in più da bocciare, non avendo possibilità alcuna di contribuire a quel sapere senza di cui vi estin-guerete.
Infatti, senza mettere alla prova questo rapporto con lo scriverlo, non c’è modo di arrivare a ciô che ho, nel momento stesso in cui ne ponevo l’inex-sistenza, proposto come uno scopo grazie a cui la psicoanalisi si eguaglierebbe alla scienza : cioè dimostrare che questo rapporto è impossibile a scriversi, cioè che è in questo che non è affermabile ma anche non refutabile : a titolo di verità.
Con la conseguenza che non c’è verità che possa dirsi tutta, neppure questa, poiché questa non la si dice né poco né tanto. La verità non serve a niente se non a costituire il posto donde questo sapere si denuncia.
Non che questo sapere sia niente. Giacché si tratta del fatto che accedendo al reale lo détermina tanto quanto il sapere délia scienza.
Naturalmente questo sapere non l’abbiamo in tasca. Bisogna inventarlo.
Né più né meno, non scoprirlo perché qui la verità non è niente più che legna da ardere, dico-bene : la verità quale procède dal f…tere, e non dalla furfanteria dello sfottere, o del fregare.
Il sapere designato da Freud con l’inconscio, è eiô che l’humus umano inventa per la propria pérennité da una generazione all’altra, ed ora che se n’è fatto l’inventario si sa che ciô dà prova di una désolante mancanza d’immaginazione.
Non lo si puô intendere che con bénéficie d’inventario, di questo inventario : cioè lasciando in sospeso l’immaginazione che al riguardo non va lontano, e mettendo a frutto il contributo del simbolico e del reale, annodati qui daU’immaginario (ecco perché non si puô lasciarlo cadere), e tentando, a partire da quelli, che hanno pur sempre dato prova di se nel sapere, di ingrandire le risorse grazie a cui pervenire, di questo increscioso rapporte, a dispensarsene, dispensarsi dal passare di li per far l’amore più degno di quella chiacchiera monta-ta che oggi esso costituisce, — sicut palea diceva S. Tommaso terminando la sua vita di monaco.
Trbvatemi un analista di questa taglia, capace di innestare ’st’affare su altro che su un abbozzo d’organon.
Concludo : il ruolo di passeurs sarà assicurato dal tripode stesso fino a nuovo ordine dato che il gruppo non ha che questi tre piedi.
Tutto deve ruotare intorno agli scritti di prossima data.
(Traduzione : G. C.)
Note
1. Vedasip. 153.
2. Riferimento alla tanto reale, quanto mai analizzata corne taie, discordia dei componenti il « tripode », e non solo di questi.
3. Non si pretenderà che si spieghi qui che cos’è « La passe ». Idem, più oltre, quanto ai

(Milano)

DIRECTIVES

Tel qu’il se présente, le groupe italien a ça pour lui qu’il est tripode. Ça peut suffire à faire qu’on s’assoie dessus.
Pour faire le siège du discours psychanalytique, il est temps de le mettre à l’essai : l’usage tranchera de son équilibre.
Qu’il pense — « avec ses pieds », c’est ce qui est à la portée de l’être parlant dès qu’il vagit.
Encore fera-t-on bien de tenir pour établi, au point présent, que voix pour-ou-contre est ce qui décide de la prépondérance de la pensée si les pieds marquent temps de discorde.
Je leur suggère de partir de ce dont j’ai dû faire refonte d’un autre groupe, nommément l’E.F.P.
L’analyste dit de l’Ecole, A.E., désormais s’y recrute de se soumettre à l’épreuve dite de la passe à quoi cependant rien ne l’oblige, puisqu’ aussi bien, l’Ecole en délègue certains qui ne s’y offrent pas, au titre d’analyste membre de l’Ecole, A.M.E.
Le groupe italien, s’il veut m’entendre, s’en tiendra à nommer ceux qui y postuleront leur entrée sur le principe de la passe prenant le risque qu’il n’y en ait pas.
Ce principe est le suivant, que j’ai dit en ces termes.
L’analyste ne s’autorise que de lui-même, cela va de soi. Peu lui chaut d’une garantie que mon Ecole lui donne sans doute sous le chiffre ironique de l’A.M.E. Ce n’est pas avec cela qu’il opère. Le groupe italien n’est pas en état de fournir cette garantie.
Ce à quoi il a à veiller, c’est qu’à s’autoriser de lui-même il n’y ait que de l’analyste.
Car ma thèse, inaugurante de rompre avec la pratique par quoi des prétendues Sociétés font de l’analyse une agrégation, n’implique pas pour autant que n’importe qui soit analyste.
Car en ce qu’elle énonce, c’est de l’analyste qu’il s’agit. Elle suppose qu’il y en ait. S’autoriser n’est pas s’auto-ri(tuali)ser. Car j’ai posé d’autre part que c’est du pas-tout que relève l’analyste.
Pas-tout être à parler ne saurait s’autoriser à faire un analyste. A preuve que l’analyse y est nécessaire, encore n’est-elle pas suffisante.
Seul l’analyste, soit pas n’importe qui, ne s’autorise que de lui-même.
Il y en a, maintenant c’est fait : mais c’est de ce qu’ils fonctionnent. Cette fonction ne rend que probable l’ex-sistence de l’analyste. Probabilité suffisante pour garantir qu’il y en ait : que les chances soient grandes pour chacun, les laisse pour tous insuffisantes.
S’il convenait pourtant que ne fonctionnent que des analystes, le prendre pour but serait digne du tripode italien.
Je voudrais frayer ici cette voie s’il veut la suivre.
Il faut pour cela (c’est d’où résulte que j’aie attendu pour la frayer), il faut pour cela du réel tenir compte. Soit de ce qui ressort de notre expérience du savoir :
II y a du savoir dans le réel. Quoique celui-là, ce ne soit pas l’analyste, mais le scientifique qui a à le loger.
L’analyste loge un autre savoir, à une autre place mais qui du savoir dans le réel doit tenir compte. Le scientifique produit le savoir, du semblant de s’en faire le sujet. Condition nécessaire mais pas suffisante. S’il ne séduit pas le maître en lui voilant que c’est là sa ruine, ce savoir restera enterré comme il le fut pendant vingt siècles où le scientifique se crut sujet, mais seulement de dissertation plus ou moins éloquente.
Je ne reviens à ce trop connu que pour rappeler que l’analyse dépend de cela, mais que pour lui, de même, ça ne suffit pas.
Il fallait que la clameur s’y ajoute d’une prétendue humanité pour qui le savoir n’est pas fait puisqu’elle ne le désire pas.
Il n’y a d’analyste qu’à ce que ce désir lui vienne, soit que déjà par là il soit le rebut de la dite (humanité).
Je dis déjà : c’est là la condition dont par quelque coté de ses aventures, l’analyste doit la marque porter. A ses congénères de « savoir » la trouver. Il saute aux yeux que ceci suppose un autre savoir d’auparavant élaboré, dont le savoir scientifique a donné le modèle et porte la responsabilité. C’est celle même que je lui impute, d’avoir aux seuls rebuts de le docte ignorance, transmis un désir inédit. Qu’il s’agit de vérifier : pour faire de l’analyste. Quoiqu’il en soit de ce que la science doit à la structure hystérique, le roman de Freud, ce sont ses amours avec la vérité.
Soit le modèle dont l’analyste, s’il y en a un, représente la chute, le rebut ai-je dit, mais pas n’importe lequel.
Croire que la science est vraie sous le prétexte qu’elle est transmissible (mathématiquement) est une idée proprement délirante que chacun de ses pas réfute en rejetant aux vieilles lunes une première formulation. Il n’y a de ce fait aucun progrès qui soit notable faute d’en savoir la suite. Il y a seulement la découverte d’un savoir dans le réel. Ordre qui n’a rien à faire avec celui imaginé d’avant la science, mais que nulle raison n’assure d’être un bon heur.
L’analyste, s’il se vanne du rebut que j’ai dit, c’est bien d’avoir un aperçu de ce que l’humanité se situe du bon heur (c’est où elle baigne : pour elle n’y a que bon heur), et c’est en quoi il doit avoir cerné la cause de son horreur de sa propre, à lui, détachée de celle de tous, horreur de savoir.
Dès lors il sait être un rebut. C’est ce que l’analyse a dû lui faire au moins sentir. S’il n’en est pas porté à l’enthousiasme, il peut bien y avoir eu analyse, mais d’analyste aucune chance. C’est ce que ma « passe », de fraîche date, illustre souvent : assez pour que les passeurs s’y déshonorent à laisser la chose incertaine, faute de quoi le cas tombe sous le coup d’une déclinaison polie de sa candidature.
C’aura une autre portée dans le groupe italien, s’il me suit en cette affaire. Car à l’Ecole de Paris, il n’y a pas de casse pour autant. L’analyste ne s’autorisant que de lui-même, sa faute passe aux passeurs et la séance continue pour le bon heur général, teinté pourtant de dépression.
Ce que le groupe italien gagnerait à me suivre, c’est un peu plus de sérieux que ce à quoi je parviens avec ma prudence. Il faut pour cela qu’il prenne un risque.
J’articule maintenant les choses pour des gens qui m’entendent.
Il y a l’objet (a). Il ex-siste maintenant, de ce que je l’aie construit. Je suppose qu’on en connaît les quatre substances épisodiques, qu’on sait à quoi il sert, de s’envelopper de la pulsion par quoi chacun se vise au cœur et n’y atteint que d’un tir qui le rate.
Ça fait support aux réalisations les plus effectives, — et aussi bien aux réalités les plus attachantes.
Si c’est le fruit de l’analyse, renvoyez le dit sujet à ses chères études. Il ornera de quelques potiches supplémentaires le patrimoine censé faire la bonne humeur de Dieu. Qu’on aime à le croire, ou que ça révolte c’est le même prix pour l’arbre généalogique d’où subsiste l’inconscient. Le ga(r)s ou la garce en question y font relais congru.
Qu’il ne s’autorise pas d’être analyste, car il n’aura jamais le temps de contribuer au savoir, sans quoi il n’y a pas de chance que l’analyse continue à faire prime sur le marché, soit : que le groupe italien ne soit pas voué à l’extinction.
Le savoir en jeu, j’en ai émis le principe comme du point idéal que tout permet de supposer quand en a le sens de l’épure : c’est qu’il n’y a pas de rapport sexuel, de rapport j’entends, qui puisse se mettre en écriture.
Inutile à partir de là d’essayer, me dira-t-on, certes pas vous, mais si vos candidats, c’est un de plus à retoquer, pour n’avoir nulle chance de contribuer au savoir sans lequel vous vous éteindrez.
Sans essayer ce rapport de l’écrire, pas moyen en effet d’arriver à ce que j’ai, du même coup que je posais son inex-sistence, proposé comme un but par où la psychanalyse s’égalerait à la science : à savoir démontrer que ce rapport est impossible à écrire, soit que c’est en cela qu’il n’est pas affirmable mais aussi bien non réfutable : au titre de la vérité.
Avec pour conséquence qu’il n’y a pas de vérité qu’on puisse dire toute, même celle-ci, puisque celle-ci on ne la dit ni peu ni prou. La vérité ne sert à rien qu’à faire la place où se dénonce ce savoir.
Mais ce savoir n’est pas rien. Car ce dont il s’agit c’est qu’accédant au réel, il le détermine tout aussi bien que le savoir de la science.
Naturellement ce savoir n’est pas du tout cuit. Car il faut l’inventer.
Ni plus ni moins, pas le découvrir puisque la vérité n’est là rien de plus que bois de chauffage, je dis bien : la vérité telle qu’elle procède de la f…trerie (orthographe à commenter, ce n’est pas la f…terie).
Le savoir par Freud désigné de l’inconscient, c’est ce qu’inventé l’humus humain pour sa pérennité d’une génération à l’autre, et maintenant qu’on l’a inventorié, on sait que ça fait preuve d’un manque d’imagination éperdu.
On ne peut l’entendre que sous bénéfice de cet inventaire : soit de laisser en suspens l’imagination qui y est courte, et de mettre à contribution le symbolique et le réel qu’ici l’imaginaire noue (c’est pourquoi on ne peut le laisser tomber) et de tenter, à partir d’eux, qui tout de même ont fait leurs preuves dans le savoir, d’agrandir les ressources grâce à quoi ce fâcheux rapport, on parviendrait à s’en passer pour faire l’amour plus digne que le foisonnement de bavardage, qu’il constitue à ce jour, — sicut palea, disait le St Thomas en terminant sa vie de moine. Trouvez-moi un analyste de cette taille, qui brancherait le truc sur autre chose que sur un organon ébauché.
Je conclus : le rôle des passeurs, c’est le tripode lui-même qui l’assurera jusqu’à nouvel ordre puisque le groupe n’a que ces trois pieds.
Tout doit tourner autour des écrits à paraître.

Jacques Lacan. Avril 1974.


Commentaires  Forum fermé

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Lettre de Jacques Lacan « aux Italiens ». (français, italien)
vendredi 15 juin 2012 à 22h41 - par  Michel Sauval

Diférentes versions :
En italien, on lit : « E’ ciô che l’analisi ha dovuto almeno fargli sentire »
Dans « Directives », on lit : « C’est ce que l’analyse a dû lui faire au moins sentir »
De même au no 9 de la lettre de l’ECF : « C’est ce que l’analyse a dû lui faire au moins sentir »
Mais à la même date, sur Ornicar ? no 25, on lit : « C’est ce que l’analyste a dû lui faire au moins sentir »
De même dans « Autres écrits » (et ses traductions a l’espagnol et au portuguais) que dans Ornicar ?
C’est comment dans la lettre de Lacan ?

Cordialement
Michel Sauval

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lundi 18 juin 2012 à 10h09 - par  P. Valas

Nous n’avons pas l’original de cette lettre. Au moins deux des trois destinataires(Contri et Verdiglione) ont publiés la lettre qu’ils avaient dactylographiée.

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Lettre de Jacques Lacan « aux Italiens ». (français, italien)
lundi 11 juin 2012 à 23h58 - par  Michel Sauval

Ici, sur l’édition de Contri, on lit : « C’est ce que l’analyse a dû lui faire au moins sentir ».
Par contre, sur l’édition de Miller, Ornicar ? no 25 page 9, on lit : « C’est ce que l’analyste a dû lui faire au moins sentir ».

« Autres écrits » reprend la version d’Ornicar ?

Quelqu’un sait qu’elle est la version correcte (celle que Lacan a écrit) ?

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lundi 18 juin 2012 à 10h11 - par  P. Valas

L’analyse et non pas l’analyste. Sinon la passe n’aurait pas lieu d’être.

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